Lugo, 1895 – Imola, 1984
Anacleto Margotti inizia la sua carriera artistica come apprendista decoratore e come pittore autodidatta. Nel 1917 ottiene l’abilitazione all’insegnamento del disegno presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e dopo la guerra si stabilisce definitivamente a Imola. Nonostante due soggiorni a Vienna (1921) e a Parigi (1926), la sua pittura non risente delle contemporanee tendenze artistiche italiane od estere e rimane saldamente ancorata a temi iconografici tipicamente romagnoli e ad una figurazione dagli intenti largamente sociali e solidamente composta. Nel 1927 espone a Milano e trova apprezzamenti da parte di Carlo Carrà e di Mario Sironi dal quale l’artista lughese sembra avere ritenuto certi aspetti pessimistici che rimangono l’imprinting più riconoscibile di tutta la sua opera. Negli anni Trenta espone a Milano e Roma (1931), alla Biennale di Venezia (1930 e 1934), a Rimini (1932) e nel 1936 inizia ad insegnare Storia dell’Arte al Liceo Classico di Imola. Nel 1943 prende parte alla prima Quadriennale romana e nello stesso anno Carrà gli dedica una monografia. Dopo la guerra partecipa ad altre edizioni della Biennale veneziana a tutte le Quadriennali romane e nel 1946 dà vita alla Mostra Nazionale di Arte Figurativa di Imola di cui rimane l’animatore principale anche in tutte le edizioni successive. Nel 1960 la città di Firenze gli dedica la prima mostra antologica cui ne seguirà un’altra nel 1966. Negli anni i suoi soggetti rimangono pressoché immutati (paesaggi e uomini e donne al lavoro) mentre la sua pennellata si fa sempre più pastosa, distesa e crudamente sintetica.
(F.B.)
Bibliografia essenziale
C. Carrà, Margotti
Rovereto 1943
M. Bacci, Anacleto Margotti. Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola
catalogo della mostra al Centro Polivalente Gianni Isola di Imola
Imola 2013
Fondi
Fondazione Cassa di Risparmio, Imola
News
In Limoni del 1936, la fatica del vivere – che Margotti ha declinato in una serie innumerevole di opere dedicate a contadini e ad operai senza volto e quasi composti con la stessa materia dei campi e degli edifici circostanti – non appare ancora opprimente. A dominare è, invece, una fibrillazione formale e coloristica, memore di certe frange della scuola romana, che tradisce un atteggiamento antinovecentista e nervoso che scomparirà nelle sue opere successive.