Le visioni di Onorio Bravi

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Le visioni di Onorio Bravi

L’artista sarà in Mostra con le sue opere presso il Museo Ugonia di Brisighella da Sabato 23 marzo, inaugurazione ore 18. La Mostra resterà allestita fino a domenica 19 maggio 2019.

La mostra è curata da Franco Bertoni

Capita spesso, nella storia dell’arte, di vedere affidate ad artisti di ogni tempo capacità di veggenza: il dono, cioè, di sapere anticipare, se pur in modo simbolico o sotto specie di immagini, di forme o di colori, climax sociali o culturali che nessun altro strumento era in grado di prevedere. Pensiamo solo all’espressionismo tedesco, soprattutto quello nella sua versione meno criticamente impegnata e tutto sommato più innovativa, che, mentore Munch, diede anticipazioni di futuri, immani disastri inimmaginabili nella fervida, aperta e vivace Germania pre-nazista, se pur con coinvolgimenti ideali e reali con latenti lati oscuri che la critica più avvertita non ha mancato di rilevare.

A supposte capacità di veggenza si affianca un’altra categoria: quella della visionarietà. Nel linguaggio della critica d’arte si parla di pittura visionaria con riferimento ad artisti particolarmente dotati della capacità di creare situazioni fantastiche, irreali e di forte impatto visivo. Il talento visivo di un Bosch o di Grünewald è sotto gli occhi di tutti come quello, per farla breve, di Scipione o di Federico Fellini e della loro Roma dai cieli rossi e percorsi da tenebrose nubi e dalle architetture sconvolte da una percezione della realtà allucinata ed emozionale.

Le doti di veggenza di Onorio Bravi le lasciamo ai posteri anche se i suoi cieli e le sue reiterate e invadenti gamme rossastre fanno già oggi intendere un possibile mondo quasi da ultimi giorni di Pompei ma la sua carica visionaria – che affonda proprio nel grande filone espressionista e neo-espressionista – risulta potente ed evidente.
Una visionarietà, quella di Onorio Bravi, che ha i suoi fondamenti, consci o inconsci, in una tradizione figurativa padana che la critica ha voluto far iniziare addirittura con Wiligelmo e Vitale da Bologna – si ricordi l’inedito avvitamento del collo del cavallo di San Giorgio nell’atto di uccidere il drago – per tesserne i fili fino ai giorni nostri con risultati diversi: da Ligabue a Mattia Moreni e agli “ultimi naturalisti” teorizzati da Francesco Arcangeli.
In questi esempi la passione di sogno invade tele dove i confini dell’immaginazione vanno a coincidere con quelli della realtà senza tuttavia mai esserne condizionati. Una commistione di realtà concreta e realtà onirica talmente stretta e inestricabile da rendere il confine tra le due sfere a dir poco labilissimo. Anche in Bravi gli strati onirici e subcoscienti appaiono come i veri e propri fondamenti dell’esperienza umana e fonte inesauribile del linguaggio più autentico della coscienza. Con case strappate, alberi evanescenti e paesaggi senza soluzione di continuità tra cielo e terra, Bravi dà voce all’inesprimibile e all’ineffabile con un linguaggio vivo, penetrante, attento allo spazio interiore e, anche, mercuriale.
Sappiamo bene che dopo la psicanalisi freudiana e l’Ulisse di James Joyce la cosa più importante in arte non è il cosa si scrive o si rappresenta ma il come. Erede di questa tradizione moderna, Bravi potrebbe a buon diritto affiggere sul retro di ogni sua opera la frase di Federico Fellini: “L’unico vero realista è il visionario”. Ed era stato detto da uno che con il neorealismo del primo dopoguerra aveva avuto forti compromissioni.

Non a caso sono stati citati precedentemente gli espressionisti e Scipione. Quest’ultimo è, forse, l’artista a lui più vicino anche per le figure umane ridotte a sagome che si aggirano in un mondo tanto terribilmente distorto e allucinato quanto, tuttavia, affascinante e attraente perché empatico, primordiale, irrazionale e dotato di strane luci che rompono l’oscurità naturale delle cose.

Non c’è opera di Bravi che non aliti dubbi di fronte a quella preda sfuggente che è il reale. Segreti, un qualcosa di inaspettato, quello che non si sospetta di vedere, il breve lasso di tempo in cui ogni cosa è perfetta, la ricerca di un momento, l’istante memorabile, un qualcosa da afferrare e preservare e l’intersezione tra vita quotidiana e teatralità, tra ordinario e meraviglioso, sono, in fondo, i suoi veri soggetti. Presenze emergono dal buio grazie alle luci orientate su di loro e, anche solo per un attimo, esse appaiono intatte e, se pur banali e quotidiane, sconosciute e interrogative.
Il paese di Brisighella, che si trova sulla strada che da Faenza conduce a Marradi, è il soggetto anche delle opere del catalogo dedicato alla mostra e chi meglio di Dino Campana – il poeta dalle ricche e forti immagini in cui si amalgamano colori, sogni e trasalimenti che danno luogo a scenografie dai potenti bagliori – potrebbe chiudere un testo su Onorio Bravi, artista visivo e visionario? Basta leggere alcuni passi dell’incipit dei Canti Orfici per scoprire affinità ideali tra il pittore e colui che sigillò la Romagna nella felice frase “La vita ha qui un forte senso naturalistico. Come in Spagna. Felicità di vivere in un paese senza filosofia”.
Campana: “ Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell’Agosto torrido, con il lontano refrigerio di colline verdi e molli sulla sfondo. Archi enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni plumbee”. Ancora: “Una piazzetta deserta, casupole schiacciate, finestre mute: a lato in un balenìo enorme la torre, otticuspide rossa impenetrabile arida. Una fontana del cinquecento taceva inaridita” e “ Ero sotto l’ombra dei portici stillata di goccie e goccie di luce sanguigna ne la nebbia di una notte di dicembre. A un tratto una porta si è aperta in uno sfarzo di luce”.
Di questa dimensione in cui “del tempo fu sospeso il corso”, Bravi è certamente altra e nuova testimonianza ma al fuoco dei suoi accesi toni rossastri, come in un incandescente crogiolo, vengono parimenti riplasmate in visioni le stesse vedute che, secondo il poeta, “anni ed anni ed anni fondevano nella dolcezza trionfale del ricordo”.

Franco Bertoni

direttore artistico Museo Ugonia

Onorio Bravi è nato a Portico di Romagna(Forlì) nel 1955. Attualmente vive ed opera a San Zaccaria (Ravenna). Si avvicina all’arte nella seconda metà degli anni ’70. In seguito si diploma all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, in Pittura. I suoi interessi fin dall’inizio abbracciano numerosi campi: pittura, scultura, scenografia, mosaico ed incisione, quest’ultima praticata con molta assiduità. Conta all’attivo oltre 400 lastre. Per il Comune di Ravenna ha condotto, negli anni Novanta, corsi di incisione, disegno e pittura. Sue opere grafiche sono conservate nel Repertorio degli Incisori Italiani del Gabinetto Stampe Antiche e Moderne “Le Cappuccine” di Bagnacavallo (RA) e presso la Biblioteca Nacional di Madrid, Ministero De Educacion Y Cultura, sala Goya. Particolarmente significativo per la sua formazione è stato il periodo trascorso in Algeria, nella prima metà degli anni Ottanta, per quelle tracce di sapore “etnico” e per le commistioni del bacino del Mediterraneo evidenti nei suoi lavori. Ha esposto, su invito, in numerose rassegne personali e collettive. Sue opere sono presenti in musei; collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. Sito web: www.onoriobravi.eu

2019-03-19T11:43:39+00:00marzo 19th, 2019|News, News artisti|