BETTI AUGUSTO

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BETTI AUGUSTO

Faenza, 1919 – Ivrea, 2013

Augusto Betti si forma, ancora bambino, nella bottega Focaccia e Melandri di Faenza e, dal 1931, alla locale Scuola Comunale di Disegno dove ha per insegnanti Francesco Nonni e Roberto Sella. Nel 1935, inizia a frequentare un corso di costruzione meccanica presso l’Istituto Aeronautico di Forlì. Nel 1946 tiene la sua prima personale di pittura alla Galleria Gamberini di Forlì ma solo nel 1947 ha la possibilità di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove conosce Giorgio Morandi e Giovanni Romagnoli. Dopo una serie di mostre di pittura e il non ottenimento della cattedra di Disegno Ornamentale alla Scuola di Disegno di Faenza, nel 1955 decide di aprire una attività commerciale con la moglie per potersi dedicare liberamente alle ricerche che lo interessano e per affrancarsi dal mercato dell’arte.
Inizia il suo lavoro sperimentale. Della fine degli anni Cinquanta sono le prime “cassette”: scatole in legno, generalmente quadrate, in cui inserisce successivamente distanziate lastre di vetro, poi di poliestere, sulle quali apporta incisioni o inserisce elementi concreti o astratti creando effetti tridimensionali variabili a seconda del punto di vista. Con la scoperta dei materiali di sintesi – coi quali è un artista pioniere e che si procura direttamente alla Bayer, alla Hoechst o alla B.P.D. di Colleferro (futura Snia Viscosa) – Betti inizia anche la serie dei “contenitori” ottenuti utilizzando come stampo parti di oggetti inconsueti. Il suo lavoro incontra gli interessi di Pino Parini e di Silvio Ceccato, direttore del Centro di Cibernetica e di Attività Linguistiche dell’Università di Milano. Nel 1963 presenta i risultati di una solitaria ricerca al Palazzo del Turismo di Riccione in occasione del XII Convegno Internazionale Artisti Critici e Studiosi d’Arte. Così lo recensisce Emma Placci sulle pagine de Il Resto del Carlino: “…personalità come Ugo Spirito, Lucio Fontana, Sivio Ceccato, Pierre Francastel e molti altri hanno trovato stupefacente che Betti, pur vivendo semi-isolato in provincia, già da alcuni anni abbia raggiunto simili risultati”. Del 1964 sono le prime “camere lenticolari” e, nello stesso anno, realizza la sua opera, forse, più significativa, “Scatola dei sentimenti”: un parallelepipedo monocromo che, aprendosi, permette il disvelarsi di precisissime forme sinusoidali, armoniche e quasi pulsanti. Nel 1965 ottiene la cattedra di Disegno Professionale all’Istituto d’Arte di Faenza che manterrà fino al 1984. Negli anni Sessanta e Settanta si dedica anche alla ceramica realizzando opere la cui complessità visiva finale è il frutto sezionamenti e di ricomposizioni di semplici moduli di base. Avvicinatosi da tempo al Centro Pio Manzù di Rimini, Betti si dedica anche al design: “Parete luce” del 1967 e sedia “Ciclope” del 1972. Nel 1968, partecipa alla mostra milanese “Achromes” al fianco di A. Bonalumi, E. Castellani, G. Colombo, L. Fontana P. Manzoni e altri. Nel 1980 assume la cattedra di Teoria della Percezione all’Istituto Industrie Artistiche di Faenza che terrà fino al 1986.
Artista sperimentale e sempre borderline, Betti ha utilizzato materiali antichi e nuovi imprimendo al suo lavoro un singolare spirito di ricerca e di innovazione che ha trasmesso, col suo insegnamento, a generazioni di allievi.

(F.B.)

Bibliografia essenziale

Augusto Betti: forme della vita,
a cura di F. Bertoni,
catalogo della mostra al palazzo delle Esposizioni di Faenza,
Faenza 2001

Fondi

eredi Augusto Betti, Ivrea

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2021-01-22T10:40:39+00:00agosto 6th, 2015|Artisti, B|