SAMORI’ NICOLA

/, S/SAMORI’ NICOLA

SAMORI’ NICOLA

Forlì, 1977

Nicola Samorì si è affermato a livello nazionale e internazionale con opere di eccezionale qualità esecutiva che hanno per privilegiato soggetto iconografico opere di maestri del passato, soprattutto del XVI e XVII secolo. Maestri olandesi abilissimi nel rappresentare la magnificenza e il ruolo sociale raggiunto da ricchi emergenti e al contempo perfidi indagatori dei grandi temi della vanitas o del memento mori con ostensioni floreali delle quali è percepibile l’immanente decadimento vitale; caravaggeschi spagnoli del Siglo de Oro contemporaneamente turbati dalla turgidità della carne e da un controriformistico senso del peccato; classiche iconografie della fede cattolica che – attraverso iperrealistiche immagini scenograficamente fatte risaltare da squarci di luce in un buio totale – convincevano in un mondo migliore da raggiungere attraverso la sofferenza e la passione, sono da Samorì eletti a modello di un confronto complesso e dai tanti corollari. Il tema del decadimento, anche delle stesse opere d’arte, prevale su ogni altro aspetto. Perfettamente riprodotte o interpretate, icone della storia dell’arte – ma anche della fede e del pensiero – vengono significativamente trasformate dall’artista con strappi e spellamenti del colore, mutilazioni, raschiature, azioni di dripping, colature, addizioni di masse di materia – che a volte rendono le sue opere un mix di pittura e scultura – e violente manomissioni, quasi degli stupri. Tra inquietanti riproduzioni del reale (nel doppio gioco di mimesi di opere che a loro volta evocavano il vero) e allusioni alle materie primigenie (a volte informali e a volte veri e propri esempi di arte concreta desunti sempre, però, dall’opera stessa) scattano, con grande efficacia comunicativa, rimandi. Allusioni riferite non tanto – come certa critica ha voluto sottolineare interpretando il lavoro di Samorì in chiave alchemica – a una perfezione spirituale raggiungibile in parallelo a progressivi stadi di manipolazione della materia quanto piuttosto a un inevitabile ritorno di tutte le cose e di tutte le manifestazioni umane a quelle sostanze da cui sono originate. Nel buio del cosmo, cui alludono i suoi neri o cupi fondali, gli ultimi sprazzi di luce illumineranno, prima o poi, il dissolversi delle forme rappresentate o generate dalla vita umana. Anticipando quello che nessuno vedrà, Samorì scopre anche in questa ennesima trasformazione della materia segni di bellezza e di meraviglia. Forse non a caso, Samorì ha sovrapposto a un suo volto di donna una colta citazione di un’opera di Malevich (forse il primo artista astratto e, comunque, colui che ha perentoriamente affermato la sostanziale astrazione di ogni manifestazione visibile) e realizzato un’opera sulla scorta della “Visione notturna” di Dürer del 1525 dove, in una sorta di Apocalisse, enormi masse d’acqua provenienti dal cielo stanno per sommergere la terra. Anche nella morsa degli incubi, Samorì, come Bacon, non può fare a meno di registrare con meticolosa e puntuale esattezza il meraviglioso insito nel disastro. Talento precocissimo, Samorì, nonostante studi conclusi con il diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna, si è maggiormente formato sulle opere dei maestri del passato. Tra le mostre personali si ricordano quelle tenute a Perth (2003), Cape Town (2004), Bologna, Trento e Fusignano (2005), Bologna e Torino (2008), Milano (2010), Basilea, Trento e Berlino (2011), Tübingen e New York (2012), Lissone, Kiel e New York (2014).

(FB)

Bibliografia essenziale

Nicola Samorì. SOLO
testi di D. J. Schreiber
Vicenza 2011

Nicola Samorì. Scoriada
catalogo della mostra alla Galleria d’Arte Raffaelli a Trento
Trento 2011

Nicola Samorì, Fegefeuer. Purgatory
a cura di D. J. Schreiber, catalogo della mostra alla Kunstalle di Tübingen
Langenhagen 2012

Fondi

studio dell’artista, Bagnacavallo

News

Forse, i riferimenti di Samorì a grandi maestri del passato sono solo un escamotage del quale l’artista si serve per dimostrare come la vicenda umana e quella di un’arte che aveva preteso di rappresentarla nei suoi punti più alti e memorabili siano entrambe prive di certezze, estremamente instabili e sempre sul punto di ricadere in quel magma materico dal quale sono casualmente fuoriuscite. Volti e corpi che si sciolgono in grumi di materia informe e una pittura figurativa che si auto-analizza criticamente fino allo svelarsi come un illusorio velo pellicolare: un velo di Maya.

2021-01-22T11:06:35+00:00luglio 31st, 2015|Artisti, S|